Domenica 1 luglio 1962

Una pala d’altare raffigurante una Crocifissione, opera del pittore Mino Buttafava e realizzata dai mosaicisti fratelli Toniutti, allievi della scuola di Spilimbergo, è stata benedetta nei giorni scorsi da S.E. Mons. Giovanni Schiavini, Vescovo Ausiliare e Vicario generale della Diocesi, nella Chiesa parrocchiale di San Giovanni Evangelista (officiata dai Padri Pavoniani) in via Pavoni 10.

L’opera realizza un pannello centrale in ceramica, nel quale si fondono con robustezza scultorea croce, figure, panneggi ed ombre. Il trittico della Vergine, del Cristo e dell’evangelista Giovanni, sfugge alla svenevole oleografia e s’impone, ossuto e rilevato come una scultura, cui lo studiato riverbero di una luce grigia da tempesta, staglia linee marcate e precise.

La tecnica del mosaico ravennate, messa in luce dai realizzatori, in tutto rispettata, ne esalta la valentia; ma la sensibilità del colore, la pittorica interpretazione, la accurata fattura con “tesserine” di vario formato e soprattutto la squisita animazione religiosa ne denotano una maturità artistica degna di ben altro riconoscimento.

Domenica 1 luglio 1962: benedizione della pala d'altare

Schizzo bozzetto per il mosaico, disegno a flo-master.

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Domenica 1 luglio, è stata benedetta da S.E. Mons. Giuseppe Schiavini la nuova pala dell’altar maggiore della Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Evangelista, officiata dai Padri Pavoniani in Via Pavoni 10.

Poiché ci pare opera di indubbio valore artistico e sacro, ci piace soffermarci in ammirazione, compiacendoci di constatare che quando gli artisti sono - per abilità e interiorità - preparati adeguatamente possono ancora oggi parlare all’anima dei fedeli un linguaggio comprensibile sia pur rivestendolo di tecnica e afflato moderno.

Il cartone del pittore Mino Buttafava - già noto a Milano per composizioni sacre di varia tecnica - affronta in modo non comune il tema abbastanza comune della Crocifissione. Su un riquadro staccato architettonicamente dalla parete, realizza quasi un pannello centrale da ceramista, escogitando una geometria in cui fonde croce, figure, panneggi e ombre con robustezza scultorea; dall’accostamento delle figure umane alla croce nasce un protendersi composto di Maria Vergine e Giovanni saturo di dolore e d’amore verso Cristo divinamente paziente e maestosamente tranquillo nello sconvolgimento della natura che rabbuffa i manti, spenge il sole e pone in spavento gli stessi militi poc’anzi drastici e sadici nell’esecuzione della condanna legale. Così il trittico sfugge alla svenevole oleografia e s’impone, ossuto e rilevato come una scultura, cui lo studiato riverbero di una luce grigia da tempesta staglia linee decise e precise d’un afrore apocalittico; e così lo sfondo della rocca di Sion con il Tempio in dissoluzione ed il concitato discendere di cavalli e cavalieri dal Golgota funesto, commenta scritturalmente alla mente impreparata o dimentica la centralità storica e la vittoria dell’inerme Cristo su ogni orgoglio terrestre e satanico. Sia considerata come pennellata indulgente a tradizioni leggendarie la presenza delle ossa adamitiche affioranti a piè del patibolo, accosta a pergamene profetiche quasi ripescate nel sommovimento dello scavo; tuttavia per essa si assomano nell’opera musiva il pauroso tremore destato dal risorgere dei molti corpi di coloro che dormivano e la trepida attesa di coloro che dal paziente d’oggi saranno, un giorno, inesorabilmente chiamati a sentire verdetto d’ingiustizia.

Ci sia consentito un elogio per la lodevole realizzazione da parte dei Fratelli Toniutti, allievi della Scuola di Spilimbergo e attualmente cooperanti della Novamosaici di Bollate: la tecnica del mosaico ravennate, in tutto rispettata, ne esalta la valentia, ma la sensibilità del colore, la pittorica interpretazione, la leziosa fattura con “tesserine” di vario formato e soprattutto la squisita animazione religiosa ne denotano una maturità artistica degna di ben altro riconoscimento.

Ed infine, pregio non formale ma sostanziale, troviamo esatto qual fin troppo evidente campeggiare dall’altar maggiore della Crocifissione, non è male che le nostre chiese vengano, di quando in quando, richiamate alla severità paleocristiana, che pone il mistero di Cristo, della Croce e della Risurrezione, al posto d’onore nella rappresentazione e nella considerazione liturgica, insinuando al cristiano pellegrino di pochi giorni che nel confermarsi coraggiosamente a quel Cristo, rivivendolo in sé nel morire e rinnegarsi quotidiano, attua nella sua carne la certezza della beatitudine promessa agli eletti.

Quanto è stato realizzato in via Pavoni armonizza classico e moderno, scritturisti e geniale, sacro e umano in un modello raramente toccato. Auguriamo ai Padri Pavoniani e ai loro Parrocchiani di riuscire presto a completare degnamente i rimanenti 14 pannelli dei misteri del Rosario occhieggianti ancor spogli lungo la bella Chiesa, dato che le promesse architettoniche e figurative sono molto promettenti.