Chi fosse entrato nella Chiesa di San Giovanni Evangelista la mattina del giorno 28 maggio venendosi a trovare inaspettatamente in un cantiere dove andavano e venivano muratori, elettricisti, radiotecnici, marmisti, decoratori ecc… gli sarebbe stato spontaneo chiedere al primo operaio capitato a tiro: le spiace indicarmi dove si trova la nuova parrocchia che Mons. Montini deve consacrare stasera e domani?… Io, chissà cos’ho capito! mi ero persuaso che fosse questa!… Invece, nel giro di una giornata, quasi per un prodigio, che - in piccolo - ripeteva quell’altro che nel breve giro di un anno aveva fatto fiorire questa Chiesa piena di attività, sull’area tranquilla di prati e orti, a sera tutto era in ordine, pronto per il rito che l’avrebbe legata a Cristo. E davvero nella signorile povertà della sua linea e dei suoi particolari, sembrava l’ultima edizione della Gerusalemme Nuova, pronta come una sposa adorna dei suoi monili…

Il rito della consacrazione ebbe luogo in due tempi distinti: una parte preparatoria, celebrata dall’Arcivescovo la sera del 28 maggio; e la vera e propria consacrazione avvenuta la mattina del 29 maggio.

Lasciamo spazio alle autorevoli impressioni di un quotidiano milanese diffusissimo, pubblicate il 30 maggio 1958, che riportiamo per intero.

“Con la celebrazione della Santa Messa da parte di S.E. Mons. Montini, si sono concluse, ieri mattina, le cerimonie della consacrazione solenne della nuova chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista e alla Madonna di Pompei, sorta in via Lodovico Pavoni. Poco più di un anno è trascorso da quando, il 19 marzo dello scorso anno, Mons. Schiavini benedisse la prima pietra del nuovo tempio. Otto mesi dopo, nella chiesa ancora rustica, si celebrava la prima S. Messa, finché il primo maggio di questo anno il sacro edificio incominciò a funzionare regolarmente come casa di Dio, in attesa della consacrazione solenne, avvenuta appunto ieri mattina.

Il nuovo edificio sacro, dalle linee di gusto romanico modernizzato, i cui muri perimetrali racchiudono un vasto segmento (600 metri quadrati) a forma di pianeta, è lungo 35 metri e alto 11. L’aula sacra è preceduta da un largo atrio, piuttosto insolito nelle nostre chiese, ma estremamente funzionale con le porte semplici e imponenti. Il progettista, architetto Claudio Buttafava, attuando le linee programmatiche stabilite, ha realizzato una chiesa decorosa e funzionale, dove lo spirito si sente invitato alla preghiera. Ai lati della chiesa sorgono gli oratori maschile e femminile. Quest’ultimo include anche l’Asilo. Un complesso parrocchiale ultramoderno, armonizzante con la costruzione dell’Istituto Artigianelli dei Padri Pavoniani, che donarono generosamente il terreno e ai quali d’ora in poi sarà affidata la cura della nuova parrocchia.

L’imponenza dell’opera presenta degli impegni economici certamente gravi. A parte il costo del terreno donato dall’Istituto, la spesa viva complessiva è di duecento milioni. Un terzo di questo è a carico dell’Arcivescovo e del Comitato Nuove Chiese; due terzi restano a carico dei cuori generosi. “Chi può dia quanto può”. A questo slogan i Padri Pavoniani hanno affidato il compito di racimolare la somma necessaria per il completamento dell’opera. Che cosa c’era fino a ieri nella zona della nuova parrocchia? C’erano prati e orti; poi come per incanto, la zona si popolò di numerosi edifici, dando vita ad un vasto quartiere, costituto da famiglie convenute dalle più lontane regioni della penisola. Qui vivono diecimila anime con i loro sogni e con le loro speranze: per queste è sorta la chiesa.

Al termine delle cerimonie della consacrazione, ai fedeli che gremivano la chiesa. S.Ecc. Mons. Montini ha rivolto un vibrante discorso affermando anzitutto, che non avremmo un concetto esatto della religione se non comprendessimo il significato della consacrazione di una nuova chiesa. Consacrando una nuova chiesa, noi innalziamo ai nostri rapporti con Dio un edificio con atto pubblico e solenne. Egli poi rilevava che i nostri rapporti con Dio non sono completi, quando sono mantenuti soltanto nel segreto del cuore. Cade, pertanto, l’affermazione di coloro che vorrebbero fare della religione un affare privato. Non soltanto l’uomo, l’individuo ma tutta la società, come tale, dipende da Dio, ed ecco quindi la necessità che tutto il popolo partecipi con culto pubblico ad onorare Dio. Il destino dell’uomo non è soltanto in questo mondo, ma è al di là dei confini terreni, e noi, erigendo una chiesa, sospendiamo al cielo il nostro modo di vivere e di pensare.

“Guardate” - ha proseguito Montini - sopra questo panorama terreno, tutto rivolto a sfruttare questa terra, questo tempio obbliga tutti a sollevare lo sguardo al cielo: “Levate capita vestra Deo”. Allora sale la preghiera a Dio, l’uomo osa sfidare i cieli, osa venire a colloquio col Signore. “Siete venuti qui per sentirvi famiglia. Voi fondate una società che si chiama Parrocchia, la quale ha due caratteristiche: qui domina il senso della paternità, qui c’è qualcuno che vi deve voler bene, vi deve istruire, che vi deve amare. Io mando in mezzo a voi un sacerdote che si chiama Padre. A voi dico: fidatevi di lui; abbiate della parrocchia questo grande concetto. Voi, inoltre, formate una società fraterna, perché tutti siamo uguali davanti a Dio (L’Italia, 30 giugno 2018) “.

 

Chi l’ha sentito può dire quanto vibrasse di paternità sentita, ed, una volta tanto, felice, la voce del nostro arcivescovo parlando alla folla che letteralmente gremiva il nuovo tempio. Già alla mattina alle sette, un discreto numero di fedeli, che aveva fatto ala all’arrivo dell’Arcivescovo, era stato presente al solenne inizio della funzione. Man mano che i minuti passavano, il numero dei presenti si ingrossava, cosicché, alle 9, quando all’inizio della S. Messa dell’Arcivescovo (la prima S. Messa nella nuova chiesa consacrata) Egli si rivolge al popolo per pronunciare uno dei suoi concettosi discorsi, non c’era un angolino sia pure piccolo piccolo, che potesse lamentarsi di non essere stato occupato. Dall’Architetto, l’ingegnere, il costruttore, i direttori didattici, gli industriali, fino ai bambini delle scuole elementari nel loro grembiuli bianco, dinanzi agli occhi dell’Arcivescovo sembrava davvero che tutti formassero “una società fraterna”, una “nuova famiglia” di uomini, raccolta tutta nella “nuova casa di Dio”. Chi ha assistito allo spettacolo solenne di quel Rito, diretto quasi con arte magica dall’esperienza del Can. Borella e commentato dalla dolce preghiera del canto gregoriano dei chierici Pavoniani di tradite, ha impresso nella memoria qualcosa che non si cancellerà più.

Finché nella vitalità della Congregazione Pavoniani sbocciano prepotenti questi frutti, noi possiamo bene allargare il cuore: la benedizione di Dio è sopra le sue opere.